Paola D’Antuono e la sua arte esistenzialista

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di Alessandro Poggiani (AgrPress.it – 17 ottobre 2022)

Dopo l’invito e la conversazione avvenuta il 24 settembre 2022 presso il Padiglione Nazionale Grenada, alla 59. Biennale di Venezia Arte, l’artista disvela se stessa e la sua arte in un’intima intervista.
Dalle parole del Maestro si evince una poetica fatta di concetti puramente archetipici rielaborati ed interiorizzati dove lo sguardo dell’osservatore è lasciato errare all’interno di forme libere senza riferimenti logici e spaziali. Una indagine la sua che si muove in un campo puramente emozionale, disimpegnato da tutto ciò che possa avere una corrispondenza con la limitata realtà. Malgrado la dirompenza della palette l’emiliana utilizza una pittura che non grida a gran voce ma sussurra con delicata e visionaria lirica, invitando il fruitore ad immergersi nell’opera.

Recente è la partecipazione al Padiglione Nazionale Grenada nella 59. Biennale di Venezia Arte al fine di presentare la sua ricerca artistica. La sinossi dell’opera Abbracci ha entusiasmato pubblico e critica perché rivela oltre a una tecnica peculiare – che fa uso di intricati reticolati materici – anche un significato di amore universale. Può parlare a tal proposito dello stretto legame di reciprocità tra tecnica e messaggio sotteso ad ogni opera?

Il colore, questo è il punto di partenza di tutte le mie opere. Scegliere un colore e lasciarlo parlare, assecondarne il tono, l’inflessione, farsi accarezzare dalla dolcezza di una parola o farsi scuotere dalla durezza di un’altra. Le voci dei colori riempiono le mie tele. Nel caso di Abbracci il cuore dell’opera è il mare, e la scelta dei toni del blu e verde acqua è stata immediata. Una volta deciso il colore, il resto è lasciato alla musica che ne accompagna la voce, ne valorizza i significati. La musica che ascolto mentre dipingo – classica o jazz, tranquilla o frenetica a seconda del mio stato d’animo – è non solo il sottofondo necessario, ma è soprattutto lo strumento attraverso il quale prendono forma le emozioni. La musica è un amplificatore di sensazioni e passioni, perché tocca corde profonde; le emozioni più intime e sincere, potenziate dalla musica, si trasmettono al braccio e poi al medium utilizzato che è la spatola. Nell’opera Abbracci che, a prima vista, appare come un fondale marino con un movimento di alghe, si possono scorgere intrecci di corpi, o forse intrecci di anime. Anime perse. Anime alla ricerca di qualcosa. Anime alla ricerca di altre anime.  Anime che si incontrano e si fondono: forse si tratta di amore universale.

Nel testo critico della dott.ssa Stefania Pieralice, che l’ha seguita in questo percorso, si legge una frase molto significativa: «Nella grazia miracolosa di quei fondali si posa la voce dei morti e la melodia degli angeli». Sarà forse che quei reticolati rappresentano gli ingorghi e i condizionamenti che precludono la vera libertà dell’essere?

Non esiste una libertà assoluta. Nel mio immaginario i reticoli rappresentano i condizionamenti da cui siamo costantemente circondati, e che nell’opera Abbracci si trasformano in catene tangibili, dove anime alla ricerca di una via di fuga trovano la fine del loro viaggio. Penso in particolare a chi affida al mare la speranza di una vita libera: anche in fondali tormentati e vischiosi l’acqua può essere non solo fine, ma anche rinascita, riscoperta di sé, (ri)conoscenza del proprio io.

La sua esperienza di arte è totalizzante tanto che si esprime anche con media diversi dalla spatola come la fotografia, il teatro o riproducendo i motivi delle composizioni su capi di moda. Che significato attribuisce a queste diverse espressioni artistiche?

Il comune denominatore è la voglia di esprimere quello che sento, di far uscire le mie emozioni più profonde. Il medium cambia, ma il fine è lo stesso: comunicare. Comunicare la percezione del mondo, il mio modo di essere, manifestarlo attraverso la voce, la gestualità, il corpo, mediante uno scatto o un oggetto di moda che può essere indossato, come i foulard che ho appena creato e che riproducono alcune delle mie opere. Tutto è strettamente correlato: il gesto pittorico fatto con la spatola è anche gesto teatrale, è danza, segue un ritmo dettato dalla musica, è sguardo e immagine, è fotografia e fusione di mondi interiori ed esteriori; il foulard è trasposizione di ciò che sono e sento, è arte prêt-à-porter. Il mio percorso variegato nasce da una curiosità innata, dalla voglia di circondarmi di emozioni positive e dalla volontà di volerle trasmettere agli altri.

Nata a Sassuolo, il suo incontro con l’arte è avvenuto nel 2003, quanto ha inciso sulla sua produzione la realtà in cui vive?

Il distretto ceramico, con i suoi paesaggi segnati da linee orizzontali e verticali, ha ispirato da subito le mie prime opere, facendo nascere in me il desiderio di rappresentarlo. Volevo mantenere quei reticoli in cui mi sentivo costretta, ma stravolgendone la freddezza attraverso un uso potente del colore. In seguito, ho parzialmente modificato la mia espressione artistica, introducendo nelle opere una dimensione più interiore e onirica, con l’intenzione di rappresentare l’incessante irrequietezza dell’inconscio attraverso tratti governati da movimenti morbidi e sinuosi, simili a quelli della vegetazione nel fondo degli oceani, giungendo infine ad inserire, in alcune delle composizioni più recenti, anche elementi di luce attraverso l’uso dell’oro.

Qual è l’opera, tra tutte quelle della sua produzione, che più la rappresenta e perché?

Una delle opere che più mi rappresenta è Gli abissi dell’anima. Simboleggia una svolta, il travalicare il tema del paesaggio astratto, seppur interiorizzato, dove il colore trasmette uno stato di benessere e di positività a chi lo guarda, per approdare a un approccio più intimo, interiore, dove l’Es freudiano prende il sopravvento sull’io, dove le pulsioni più profonde e intrinseche sono rappresentate da volute, intrecci, tubolari contorti che in continuo movimento si intersecano nelle profondità del mare, come alghe che, spinte dalle correnti, cercano di risalire in superficie ma vengono intrappolate da una fitta rete tale da non permettere l’ascesa. È un percorso intimo, un viaggio nei misteri dell’anima, che porta alla luce le proprie contraddizioni, le proprie complessità, le proprie paure, ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. È la rappresentazione di un bagaglio emotivo tumultuoso, che ognuno di noi possiede ma che spesso non esplicita. E anche quando lo si percepisce, si sceglie di non portarlo a galla, perché è troppo doloroso e complicato farlo. O forse solo perché è più semplice fingere di ignorarlo.

In Emilia Romagna figura tra gli artisti più interessanti, da qui la catalogazione nell’Atlante dell’Arte Contemporanea, monumentale volume che valorizza i talenti della penisola. Il suo nome compare insieme a Ligabue, Franco Fontana, Morandi, Mazzacurati, Pomodoro e molti altri. Quanto ancora l’arte ha possibilità di reinventarsi e reinventare la società contemporanea?

L’arte è intrinsecamente legata alla nostra contemporaneità, ne è specchio e stimolo. La vedo – mai come ora – mezzo di riflessione e denuncia sui grandi temi legati all’ambiente, alla violenza, all’integrazione. L’artista ha modo di veicolare e manifestare il proprio messaggio attingendo da molteplici linguaggi, utilizzando la pittura, la grafica, la fotografia, i video, le performance, il digitale, la tecnica, e può arrivare capillarmente, tramite i social, a un numero enorme di persone. L’arte può reinventarsi e reinventare la società contemporanea, ma solo se si rende comprensibile. Se riesce nell’intento di sensibilizzare e avvicinare i giovani. Se riesce ancora a essere portatrice di emozioni, di bellezza, di significati e temi importanti e non solo di provocazioni fini a se stesse. Se riesce a precorrere i tempi aiutandoci e preparandoci a una lettura differente della realtà. Penso che in questo la scuola debba avere un ruolo educativo fondamentale; l’educazione e la sensibilizzazione al bello non può non essere un tema secondario in una società che si ritiene avanzata.